domenica 30 dicembre 2012

Sì, li ho amati quei raduni notturni

Sì, li ho amati quei raduni notturni:
i bicchieri ghiacciati sparsi sul tavolino,
l'esile nube fragrante sul nero caffè,
l'invernale, greve vampa del caminetto infocato,
l'allegria velenosa dei frizzi letterari
e il primo sguardo di lui, inerme e angosciante.

Anna Achmatova

lunedì 24 dicembre 2012

vigilia di Natale, da solo

vigilia di Natale, da solo,
nella stanza di un motel
sulla costa
vicino al Pacifico -
lo senti?

hanno cercato di arredarlo alla
spagnola con
gli arazzi e i lampadari, e
il bagno è pulito,
ci sono
piccole saponette
rosa.

non ci troveranno
qui:
i barracuda o le signore o
gli adoratori
di idoli.

giù in città
sono tutti ubriachi e in preda al panico
passano col rosso
si spaccano la testa
in onore della nascita
di Cristo. proprio carino.

presto finirò questo drink al
rum portoricano.
domani mattina vomiterò e
mi farò una doccia, ritornerò in macchina
all'una e mi farò un panino,
sarò nella mia stanza per le
2,
disteso sul letto,
aspettando che il telefono squilli,
senza rispondere,
la mia vacanza è
un'evasione, i miei ragionamenti
invece no.

Charles Bukowski

sabato 1 dicembre 2012

Il mio cammino fino a te

Fu lungo il mio cammino fino a te,
la vita intera quasi ti cercai
per serpeggianti avidi incontri
con altri, e tu non venivi.

E fino a dove si apriva il tuo sguardo,
ombre attraversai e rumori sordi,
ma trapelava da me soltanto
purezza di suoni - per amor tuo.

Ogni carezza io piansi,
prima che fosse nata io la difesi,
e il nostro futuro incontro custodivo
con pazienza nel mio petto.

Fu lungo il mio cammino fino a te,
immensamente lungo, e quando tu davvero
finalmente davanti a me sei apparso,
ho riconosciuto te, ma me stessa a stento.

Immensi spazi avevo in me raccolto,
sconfinati aromi, timbri e desideri,
abbracciavo ormai uno spazio così vasto
che accanto a me dovevi fermarti.

Fu lungo il mio cammino fino a te,
e ci ha unito per un incontro breve,
sapendolo... di nuovo sceglierei
questo lungo cammino fino a te.

Blaga Dimitrova

- piccola, molesta incursione nella mia vita privata - mi permetto indegnamente di saccheggiare questi versi "donandoli" ad una persona rivista dopo molto tempo la scorsa notte in un contesto abbastanza squallido - entrambi tristi e cupi, abbiamo entrambi - non so ancora in che modalità e con quale stregoneria, illuminato qualcosa, il mondo intero forse. Grazie -

lunedì 26 novembre 2012

A cosa mi è servito

A cosa mi è servito
correre per tutto il mondo,
trascinare, di città in città, un amore
che pesava più di mille valige;
mostrare
a mille uomini il tuo nome
scritto in mille alfabeti
e un immagine del tuo volto
che io giudicavo felice?
A cosa mi è servito
respingere questi mille uomini,
e gli altri mille
che fecero di tutto perchè mi fermassi,
mille volte pettinando
le pieghe del mio vestito
stanca di viaggi,
o dicendo il tuo nome
così bello in mille lingue
che io mai avrei compreso?
Perchè era solo dietro a te
che correvo il mondo,
era con la tua voce
nelle mie orecchie
che io trascinavo il fardello
dell'amore di città in città,
il tuo volto nei miei occhi
durante tutto il viaggio,
ma tu partivi sempre la sera
prima del mio arrivo.

Maria do Rosàrio Pedreira

domenica 18 novembre 2012

per Al

non preoccuparti delle poesie respinte, compà,
anche le mie sono state respinte.

qualche volta fai l'errore di scegliere
la poesia sbagliata
più spesso io faccio l'errore di
scriverla.

in ogni corsa trovo un cavallo che mi piace
anche se quello
che fissa le quotazioni del mattino

lo dà 30 a uno..

comincio a pensare alla morte sempre
più spesso

senilità

stampelle

poltrone

scrivere poesie pompose con una
penna che perde

quando le ragazzine con bocche
da barracuda
corpi come alberi di limone
corpi come nuvole
corpi come il bagliore dei lampi
smetteranno di bussare alla mia porta.

non preoccuparti delle poesie respinte, compà.

ho fumato 25 sigarette stanotte
e lo sai come va con la birra.

il telefono è squillato una sola volta:
avevano sbagliato numero.

Charles Bukowski

lunedì 12 novembre 2012

A te - fra cento anni

A te, che dovevi esser nato
un secolo dopo, quando avrò ripreso fiato -
dal sottosuolo, come un condannato a morte,
       con la mia mano - scriverò:

Amico! Non cercarmi! Altra moda!
Di me non si ricordano nemmeno i vegliardi.
Con la mia bocca non ci si tocca! Oltre le acque del Lete
        protendo due mani.

Come due roghi io vedo i tuoi occhi,
fiammeggianti verso di me, nella tomba, nell'inferno.
Quella, vedenti, che non muove neanche una mano,
        morta cento anni fa.

Con me, nella mano, quasi una manciata di polvere:
le mie poesie! Vedo: al vento
tu cerchi la casa dove io sono nata - oppure
        in cui morirò.

Le donne che ti vengono incontro, quelle, le vive, le felici -
io sono fiera di come le guardi, e colgo le parole:
"Assembramento d' usurpatrici! Siete tutte morte voi!
       Lei sola è viva!

Io l'ho servita, in volonontario servizio,
tutti i segreti conoscevo, tutto il fondaco dei suoi anelli!
Saccheggiatrici di defunte! Questi anelli
      sono rubati a lei!"

Oh, i miei cento anelli! Mi si tirano le vene,
per la prima volta mi pento
che tanti a destra e a manca ne ho regalati -
       non ti avevo aspettato!

E ancora mi fa tristezza che in questa sera
d'oggi così lungamente io sia andata dietro
al sole che tramontava - e incontro
     a te: attraverso cento anni.

Scommetto che tu scagli una maledizione
ai miei amici, verso la caligine delle tombe:
"Tutti la lodavate! Ma un abito rosa

     nessuno le ha regalato!

Chi era più disinteressato?!" No, io la cupida!
Già che non mi ucciderai, non c'è avidità da nascondere,
che a tutti io chiedevo le lettere
       per baciarle di notte.

Dirlo?! Lo dirò! Il non essere è una convenzione.
Tu per me adesso sei il più appassionato degli ospiti
e tu rifiuterai la perla di tutte le amanti
     in nome di quella - delle ossa.

Marina Ivanovna Cvetaeva
1919

martedì 30 ottobre 2012

All' amato se stesso dedica queste righe l' autore

Quattro.
Pesanti come un colpo.
A Cesare ciò che è di Cesare - a Dio ciò che è di Dio.

Ma uno
come me
dove potrà ficcarsi?
Dove mi si è apprestata una tana?

S' io fossi
piccolo
come il Grande Oceano -
mi leverei sulla punta dei piedi delle onde,
con l' alta marea carezzando la luna.
Dove trovare un' amata
uguale a me?
Angusto sarebbe il cielo per contenerla!

Oh, s' io fossi povero!
Come un miliardario!
Ma che cos' è il denaro per l' anima?
Un ladro insaziabile si annida in essa.
All' orda sfrenata dei miei desideri
non basta l' oro di tutte le Californie.

S' io fossi balbuziente
come Dante
o Petrarca!
Accendere l' anima per una sola!
Ordinarle con i versi di struggersi in cenere!
E le parole
e il mio amore -
sarebbero un arco di trionfo:
Pomposamente,
senza lasciar traccia, vi passerebbero sotto
le amanti di tutti i secoli.

Oh, s' io fossi
silenzioso
come il tuono, -
gemerei,
stringendo con un brivido il decrepito eremo terrestre.
Se urlerò a squarciagola
con la mia voce immensa
le comete torceranno le braccia fiammeggianti,
gettandosi a capofitto dalla malinconia.

Coi raggi degli occhi rosicchierei le notti -
se io fossi
appannato
come il sole!
Ma che bisogno ho io
di abbeverare col mio splendore
il grembo dimagrato della terra!

Morirò,
trascinando con me il mio amore immenso.
In quali notti
quali malattie,
da quali Golia fui generato -
così grande
e così inutile?

Vladimir V. Majakovskij
1916

 - All' odiata se stessa nella sera del suo compleanno -

sabato 27 ottobre 2012

qualcosa

mi sono finiti i fiammiferi.
le molle del divano
sono rotte.
mi hanno rubato il baule.
mi hanno rubato il ritratto a olio di
due occhi rosa.
la macchina si è rotta.
le anguille si arrampicano sui muri del bagno.
il mio amore è distrutto.
ma la Borsa oggi
è salita.

Charles Bukowski

Perdita

Non so se mi ero innamorata di te.
Mi innamorai però di altre cose, lo so:
di una stanza scomoda rivolta a nord,
di una teiera che crepitava di sera.

Degli alberi mi innamorai che tagliavano lo spazio,
dei solitari e soffocanti cinema di quartiere,
dei dolorosi ricordi di prigione,
di un muro ferito dalle bombe.

Delle fermate del tram, delle foglie ricoperte di brina,
di una calda tasca con castagne bruciate,
della pioggia scrosciante, del suono del telefono,
perfino della nebbia fonda color cenere.

Di tutto il mondo mi ero innamorata, non di te.
Lo scoprivo nuovo, interessante, ricco.
Per questo soffro... Non per averti perso.
Altro ho perduto - il mondo intero.

Blaga Dimitrova

mercoledì 24 ottobre 2012

Robert Doisneau - Paris en Libertè

E' in corso a Roma presso il Palazzo delle Esposizioni in via Nazionale una retrospettiva di duecento fotografie del celebre fotografo francese Robert Doisneau ( Gentillly, 14 aprile 1912 - Montrouge, 1 aprile 1994). Celebrato come il più illustre rappresentante della fotografia umanista, Robert Doisneau viene ricordato soprattutto per la celebre immagine Bacio all' Hotel de Ville ( 1950), che ritrae una giovane coppia francese intenta a scambiarsi un bellissimo e appassionato bacio tra la folla e il traffico caotico, frenetico e forse insensato della capitale francese. Le immagini e i soggetti preferiti di Doisneau sono piccole scene di vita quotidiana, strade, vetrine, cafè, musiciste di fisarmonica, ballerine, prostitute, passanti, turisti e particolari che normalmente si sottovalutano, credendoli erroneamente ordinari o privi di interesse. Doisneau celebra Parigi e i suoi abitanti con scatti mai banali, cogliendo sempre quel particolare che rende l'immagine unica e indimenticabile. Come, appunto, questo magnifico atto di tenerezza. Universale.
La mostra terminerà il 3 febbraio 2013.

domenica 14 ottobre 2012

Uno per uno è uguale a uno

Uno per uno è uguale a uno
Ne consegue che in due sei comunque solo
Ne consegue che in due sei una cosa sola con l' altro
Ne consegue che l' altro è solo come te

Vera Pavlova

venerdì 12 ottobre 2012

Dio

Ma Dio non è un fantasma dorato
Non è una belva, non brace di stelle
E' solo una sfera spoglia
Vuota e senza sesso

Egli è sospeso nella camera
Sotto il soffitto
E guarda, guarda giù
Con una pupilla invisibile

Ha trasformato in una prigione
Il mio inchiostro, il tavolo
Gli consegnerò tutto
E rimarrò spoglio

Sergej Stratanovskij

Ti sei stancata di portare il mio peso

Ti sei stancata di portare il mio peso
ti sei stancata delle mie mani
dei miei occhi della mia ombra

le mie parole erano incendi
le mie parole eran pozzi profondi

verrà un giorno un giorno improvvisamente
sentirai dentro di te
le ombre dei miei passi
che si allontanano

e quel peso sarà il più grave.

Nazim Hikmet

giovedì 11 ottobre 2012

Il cuore nel boccale

Nello studio del dottore Imrè Littman, sul tavolo,
c'è il cuore della signora Janos Sciabai.
Se ne sta un po' imbronciato e un po' orgoglioso
dritto in un boccale circondato di rose
che di calde albicocche hanno il colore.

E' tagliato nel mezzo da un lungo segno fine
il cuore che fu quello della signora Sciabai.
Dottore, da che viene quella ferita? Un bisturi,
una frase malevola, un'azione sleale?
C'è qualcuno che piange la signora Sciabai?

Trent' anni ha, dice l'etichetta nera,
il cuore che fu quello della signora Sciabai.
Che fa il signor Sciabai, lo sposo ch'ebbe forse?
Prende l'aperitivo contemplando la sera
come sempre, dai vetri del caffè Rojakèrt?

Eccolo denudato in quel vaso bizzarro
il cuore che fu quello della signora Sciabai.
Chi lo sa quante volte ella ha riempito
di dolci marmellate boccali di quel tipo
ma il coperchio per certo non era di garza.

Sta qui se pure senza ritorno è partito
il cuore che fu quello della signora Sciabai.
Il dottore si è messo quel viscere di fronte
tenta di penetrare il segreto che nasconde
la morte venne da un' arteria o dall' amore?

Che nello studio chiaro di un medico sapiente
come il cuore della signora Janos Sciabai
dopo di noi possa servire a qualcosa
il nostro cuore, accanto ad una bellissima rosa,
in un boccale pulito, come fosse vivente.

Nazim Hikmet

martedì 9 ottobre 2012

Monologo alle 3 di notte

Meglio che ogni fibra si spezzi
e il furore dilaghi
e il sangue vivo inzuppi
letto, tappeto, pavimento
e l'almanacco istoriato di serpenti
che ti conferma
a un milione di contee da qui,

che non sedere muta, con questi spasmi
sotto stelle pungenti,
con l'occhio fisso, con maledizioni
ad annerire il momento in cui
furono detti gli addii e lasciati andare i treni
e io, grande idiota magnanima, fui così strappata
al mio unico regno.

Sylvia Plath

Il sogno

La notte impone a noi la sua fatica
magica. Disfare l'universo,
le ramificazioni senza fine
di effetti e di cause che si perdono
in quell'abisso senza fondo, il tempo.
La notte vuole che stanotte oblii
il tuo nome, i tuoi avi e il tuo sangue,
ogni parola umana ed ogni lacrima,
ciò che poté insegnarti la tua veglia,
l'illusorio punto dei geometri,
la linea, il piano, il cubo, la piramide,
il cilindro, la sfera, il mare, le onde,
la guancia sul cuscino, la freschezza
del lenzuolo nuovo...
Gli imperi, Cesari e Shakespeare
e, ancora più difficile, ciò che ami.
Curiosamente, una pastiglia
può svanire il cosmo e costruire il caos.

Jorge Luis Borges

lunedì 8 ottobre 2012

Mi piacerebbe

Mi piacerebbe
Diventare un grande poeta
E la gente
Mi metterebbe
Serti di lauro sulla testa
Ma ecco
Non ho
Abbastanza passione per i libri
E penso troppo a vivere
E penso troppo alla gente
Per essere sempre contento
Di non scrivere che vento.

Boris Vian

Non ho più molta voglia

Non ho più molta voglia
Di scrivere poesie
Se fosse come prima
Ne farei più spesso
Ma mi sento molto vecchio
Mi sento molto serio
Mi sento molto coscienzioso
Mi sento pigro.

Boris Vian

domenica 23 settembre 2012

Insonne

Il cielo notturno è solo una specie di carta carbone
neroblu, perforata dai punti delle stelle
che lasciano passare la luce, uno spioncino dopo l'altro-
una luce bianco osso, come la morte, dietro ogni cosa.
Sotto gli occhi delle stelle e il rictus della luna
egli patisce il suo guanciale deserto e l'insonnia
spande in ogni direzione la sua sabbia sottile e fastidiosa.

Replicato senza sosta, il vecchio film sgranato
rivela gli imbarazzi: i giorni piovvigginosi
dell'infanzia e dell'adolescenza, appiccicosi di sogni,
le facce dei genitori su lunghi steli, severe o afflitte,
un roseto infestato di insetti che l'aveva fatto piangere.
La sua fronte è tutta bozzi come un sacco di pietre.
I ricordi sgomitano per un primo piano come divi al tramonto.

Le pillole non gli fanno effetto: rosse, viola, azzurre-
Come illuminavano il tedio della sera prolungata!
Quei pianeti zuccherini il cui influsso ottenne
per qualche tempo una vita battezzata in non-vita
e i dolci risvegli stuporosi di un infante smemorato.
Ora le pillole sono consunte e ridicole, come antichi dèi.
I loro colori ninnananna non lo aiutano più.

La sua testa è un piccolo interno di specchi grigi.
Ogni gesto sparisce subito giù per un corridoio
di prospettive in fuga, e il suo significato
scorre via come acqua dal foro al capo opposto.
Lui vive esposto in una stanza senza palpebre,
le fessure nude degli occhi irrigidite e spalancate
nell'incessante lampeggiare delle situazioni.

E' tutta la notte che nel cortile di granito gatti invisibili
urlano come donne o strumenti stonati.
Già sente avvicinarsi la luce, la sua bianca malattia,
col suo cappello pieno di banali ripetizioni.
Ormai la città è una mappa di allegri cinguettii
e dappertutto le persone, con occhi argento-mica e vacui,
vanno al lavoro in fila, come reduci da un lavaggio del cervello.

Sylvia Plath

mercoledì 19 settembre 2012

Se devo vivere

Se devo vivere di te, che sia duro e cruento,
la minestra fredda, le scarpe rotte, o che a metà dell' opulenza
si alzi il secco ramo della tosse, che latra
il tuo nome deformato, le vocali di spuma, e nelle dita
mi si incollino le lenzuola, e niente mi dia pace.
Non imparerò per questo a meglio amarti,
però sloggiato dalla felicità
saprò quanta me ne davi a volte soltanto standomi nei pressi.
Questo voglio capirlo, ma mi inganno:
sarà necessaria la brina dell' architrave
perché colui che si ripara sotto il portale comprenda
la luce della sala da pranzo, le tovaglie di latte, e l' aroma
del pane che passa la sua mano bruna per la fessura.
Tanto lontano ormai da te
come un occhio dall' altro,
da questa avversità che assumo nascerà presto
lo sguardo che ti meriti.

Julio Cortàzar

martedì 18 settembre 2012

Nozze di sparvieri nel fogliame secco

Ci avviamo verso l' Autunno,
rincorrendoci, squittendo, piangendo,
due sparvieri dalle ali stanche.

L' Estate ha ormai nuovi padroni,
sbattono le ali i giovani astori,
e combattono battaglie di baci.

Voliamo via dall' Estate, cacciati,
ci fermiamo nell' Autunno, da qualche parte,
con piume alzate, innamorati.

Sono le nostre ultime nozze:
ci scaviamo nella carne,
e cadiamo morti sul secco fogliame.

Endre Ady

lunedì 3 settembre 2012

$$$$$$

ho sempre avuto problemi
con i soldi.
in questo posto dove lavoravo
tutti mangiavano hot dog
e patatine fritte
alla mensa aziendale
per 3 giorni prima della
paga.
io volevo le bistecche,
andai persino dal direttore
della mensa e
gli dissi di darci
le bistecche, si rifiutò.

mi dimenticavo i giorni di paga.
avevo un tasso di assenteismo piuttosto alto e
quando arrivava il giorno di paga tutti
cominciavano a parlarne.
"giorno di paga?" facevo, "cazzo, oggi è
giorno di paga? mi sono dimenticato di ritirare
l'ultimo assegno..."

"piantala con queste stronzate..."

"no, no, sul serio..."

mi alzavo di scatto e andavo all'ufficio paghe
e ovviamente i soldi
c'erano e così tornavo e glieli facevo
vedere. "Cristo, me n'ero proprio
dimenticato..."

Non so perchè ma si
arrabbiavano. poi passava
il cassiere con un altro assegno. "Gesù" facevo, "un altro".
e loro si
arrabbiavano.
alcuni facevano
il doppio lavoro

il giorno più brutto
pioveva molto forte,
non avevo un impermeabile così
mi misi un cappotto molto vecchio che non usavo
da mesi e
arrivai un pò in ritardo
mentre loro erano già al lavoro.
frugai nel cappotto per cercare
le sigarette
e ci trovai un biglietto da 5 dollari
nella tasca laterale:


"ehi, guardate", dissi, " ho appena trovato
un biglietto da 5
dollari che non sapevo di avere, che
buffo".

"ehi, amico, piantala con queste
stronzate!"

"no, no, sul serio , veramente, mi ricordo
che avevo questo cappotto quando
ho fatto il giro dei bar
ubriaco. me li hanno fregati troppe volte,
e c' ho paura... levo i soldi dal
portafogli e me li nascondo addosso
dappertutto".

"siediti e mettiti al
lavoro".

allungai la mano nella tasca interna:
"ehi, guardate, ce n'è uno da VENTI! Dio ecco qua
una da VENTI che non sapevo di
avere! sono
RICCO!"

"non ci fai ridere figlio di
puttana..."

"ehi, Dio mio, qui ce n'è UN ALTRO
da venti! è troppo, proprio
troppo... lo sapevo che non m'ero speso tutti quei
soldi quella sera.
pensavo che me li avessero
fregati di nuovo..."

continuai a frugare nel
cappotto. "ehi! eccone uno da dieci e
uno da cinque! mio Dio..."

"senti, ti ho detto di sederti
e chiudere il becco..."

"mio dio, sono RICCO... non ho nemmeno bisogno
di fare questo lavoro..."

"amico, mettiti a sedere..."

una volta seduto ne trovai un altro da dieci
ma non dissi
nulla.

sentivo le ondate d'odio ed
ero imbarazzato
credevano che
avessi architettato il tutto
apposta per farli
stare male. non ne avevo
l'intenzione. quelli che campano di hot dog
e patatine fritte
i 3 giorni prima della paga
stanno già male abbastanza.
mi sedetti
mi piegai in avanti e
cominciai a lavorare.

fuori
continuava a
piovere.



Charles Bukowski

sabato 1 settembre 2012

Incontro

Ah, quando sei lontano e
nessuno più nomina il tuo nome
quando e ovunque mi rechi sento
cupo e gelido un vuoto
comincio a credere che tu sia solo un sogno
nato dalle brame della mia mente,
e a questo sogno ho dato vita e nome
e in ultimo il tuo aspetto
ma quando pi ti vedo e posso
sentire le tue forti parole,
posarti ancora il capo sulla spalla
ascoltare il suono della tua voce
allora so che il resto è solo notte,
malvagi sogni che presto scorderò,
so che tu mi porti nella luce
e che in te dimorano la vita e il giorno.

Karen Blixen

giovedì 2 agosto 2012

Julia Margaret Cameron

Nata in una colonia inglese di Calcutta, Garden Reach, l' 11 giugno 1815, approda alla fotografia solo verso i cinquant'anni, quando la figlia maggiore le regala un apparecchio fotografico per daggherottipi e talbotipia. E' l'inizio di una vera e propria passione - ritenuta da molti amici e conoscenti un' ossessione - la Cameron allestisce da sé il proprio laboratorio, che battezza Glass House, in origine un vecchio pollaio. Lo "studio" è piuttosto malconcio, e, fatto molto importante, manca l'acqua. La Cameron è quindi costretta a correre a prenderla da un pozzo nelle vicinanze, per fissare ogni stampa. I risultati dei primi esperimenti si presentano in stampe molto sciupate, con i contorni eccessivamente sfocati. Decisa a non abbandonare l'arte fotografica ( anche se, agli albori, la fotografia veniva considerata solo un passatempo e non un' arte paragonabile a quelle plastiche come la pittura e la scultura ), Julia Margaret Cameron seguita a sperimentare, da autodidatta - arrivando ad ottenere effetti incredibili e un insospettabile successo, che la rende in breve tempo famosa. Inizia a scattare i primi ritratti, scegliendo bambine e giovani donne. E' solita far lavare i capelli delle sue modelle per "ottenere un effetto aureolante". I ritratti sono intrisi di romanticismo vittoriano, ma sono anche veicoli per studiare la psicologia dei modelli, spesso impenetrabile e ambigua. Ogni ritratto è un vero e proprio studio sulla personalità del modello, realizzato con intensi - e, al tempo stesso, sfocati - primi piani. Lo stesso Lewis Carroll, suo contemporaneo e anch' egli fotografo, apprezza ( a volte un pò meno, e senza risparmiare decise stroncature) le opere della Cameron. Julia ritrae alcuni dei personaggi più celebri e importanti dell' epoca: da William Michael Rossetti al poeta Tennyson con i figli, dall' amico e consulente Sir John Herschel a Charles Darwin. E' una cacciatrice di celebrità, molto attenta alla fisionomia e alla psicologia, e molti si tengono alla larga da casa sua, per non essere immortalati. La personalissima ricerca stilistica porta la Cameron al Pittorialismo, un movimento artistico nato nella seconda metà dell' 800 per attribuire le stesse caratteristiche della pittura e della scultura alla fotografia per motivazioni esclusivamente estetiche. Julia Margaret Cameron è ammessa alla Royal Photographic Society, ma nel 1875 deve abbandonare la sua passione per mancanza di soldi e materiale. Muore nel 1879. La riscopre negli anni '30 una pronipote d' eccezione: Virginia Woolf, che scriverà una commedia in tre atti intitolata Freshwater, dedicata alla Cameron e al suo circolo di amici. Julia Margaret Cameron è ritenuta la prima donna fotografa della storia.







martedì 24 luglio 2012

Entr' acte: la vera storia di Cappuccetto Rosso

C'era una volta una bambina che fu mandata a portare il pane e il latte alla nonna. Mentre attraversava il bosco incontrò un lupo, che le domandò dove stesse andando. " Sto andando dalla nonna." Il lupo scappò via e giunse a casa della nonna prima di lei. Uccise la nonna, versò il suo sangue in una bottiglia e affettò le sue carni su di un vassoio. Poi, indossò la sua camicia da notte e si mise ad aspettare nel letto. Toc toc. "Entra, mia cara." " Ti ho portato il pane e il latte, nonnina." Mangia qualcosa, mia cara. Nella dispensa c'è della carne e del vino." La bambina mangiò quello che la nonna le aveva offerto. Quando ebbe finito, un micio commentò: " Che screanzata! Ha mangiato la carne di sua nonna e ne ha bevuto il sangue!" E poi il lupo disse: " Spogliati e vieni qui nel letto accanto a me." "Dove metto la gonna?" "Gettala nel fuoco: non ti servirà mai più." Via via che si spogliava la bambina faceva la stessa domanda: " Dove metto il grembiule? E il corpetto? E le calze?", e ogni volta il lupo rispondeva: "Nel fuoco: non ti servirà mai più." Quando la piccola entrò nel letto, esclamò: "Nonna... quanti peli hai!" "E' per tenermi calda, mia cara." "Oh, nonna... che unghie lunghe che hai!" " E' per grattarmi meglio." "Oh, nonna... che denti grandi che hai!" "Per mangiarti meglio, mia cara." E la divorò.

lunedì 16 luglio 2012

Da lei all' eternità - Nick Cave

Voglio raccontarvi di una ragazza
Sapete, viveva nella stanza 29
Esattamente quella sopra la mia
Io comincio a piangere, io comincio a piangere -e
O la sento camminare
Camminare scalza sulle assi del pavimento
Per tutta questa notte solitaria
E io stesso sento anche lei che piange
Lacrime calde che scendono giù
Filtrando attraverso le fessure
Giù sul mio viso, le lascio scivolare nella mia bocca!
Cammina e piange, cammina e piange - e!
Da lei all' eternità
Da lei all' eternità
Da lei all' eternità
Sulle sue lenzuola lessi il suo diario
Esaminando ogni microscopico granello di polvere
Strappai una pagina e me la infilai sotto la maglia
Scappai dalla finestra
E scesi aggrappato ad un rampicante
Fuori dal suo incubo e nuovamente dentro il mio
Il mio! O sì, il mio!
Da lei all' eternità
Da lei all' eternità
Da lei all' eternità
Piangere! Piangere! Piangere!
Gioca a fare l' intellettuale, ci scommetto!
E stando così con l' orecchio rivolto al soffitto
Sentite, io so che può sembrare assurdo
Ma posso sentire il suono più malinconico
Che io abbia mai sentito!
Cammina e piange, si inginocchia e piange!
Da lei all' eternità
Da lei all' eternità

O ditemi perché? Perché? Perché?
Perché il soffitto trema ancora?
Perché i mobili diventano serpenti e vipere?
Questo desiderio di possederla è un vero strazio
E mi tormenta come una megera
Ma io so bene che possederla
Significa non desiderarla
O, O, O adesso sapete, quella ragazzina vorrebbe andarsene!
Via! Via - a - a! Da lei all' eternità.

giovedì 12 luglio 2012

Dal diario di Etty Hillesum

Lunedì 4 agosto 1941, le due e mezzo di pomeriggio. S. dice che l'amore per tutti gli uomini è superiore all'amore per un uomo solo: perché l'amore per il singolo è una forma di amore di sé. S. è un uomo maturo di 55 anni, che ha raggiunto questo stadio di amore per tutti gli uomini dopo aver amato molte persone singole, nel corso della sua lunga vita. Io sono una donnetta di 27 anni; anch'io mi porto dentro questo grande amore per tutta l'umanità, eppure mi domando se non continuerò a cercarmi il mio unico uomo. E mi domando fino a che punto questo sia un limite della donna: fino a che punto si tratti cioè di una tradizione di secoli, da cui la donna si debba affrancare, oppure una qualità talmente essenziale che la donna farebbe violenza a se stessa se desse il proprio amore a tutta l'umanità ( non sono ancora in grado di concepire una sintesi ). Forse, la mancanza di donne nel campo della scienza e nell'arte si spiega così: col fatto che la donna si cerca sempre un uomo solo, a cui trasmette poi tutta la propria conoscenza, calore, amore, capacità creativa.
La donna cerca l'uomo e non l'umanità.
(...)

27 febbraio, venerdì mattina, le dieci. Mi sembra presuntuoso affermare che un uomo possa determinare il proprio destino dall'interno. Quel che invece un uomo ha in mano è il proprio orientamento interiore verso il destino. I fatti esterni non bastano per capire la vita di una persona: bisogna conoscere i sogni, i rapporti con la famiglia, gli stati d'animo, le delusioni, la malattia e la morte.
Mercoledì mattina presto, quando con un gruppo numeroso ci siamo trovati in quel locale della Gestapo, i fatti delle nostre vite erano tutti uguali: eravamo tutti nello stesso ambiente, gli uomini dietro alla scrivania come quelli che venivano interrogati. Ciò che qualificava la vita di ciascuno era l'atteggiamento interiore verso quei fatti. Si notava subito un giovane che camminando su e giù con un'espressione palesemente scontenta, assillata e tormentata. Cercava in continuazione pretesti per urlare a quei disgraziati ebrei: "Mani fuori dalle tasche, per favore...", ecc. Per me era da compiangere più di coloro a cui stava urlando; e questi, a loro volta, facevano pena nella misura in cui erano impauriti. Quando mi sono presentata davanti alla scrivania, mi ha urlato improvvisamente: " Che ci trova di ridicolo?". Avrei risposto volentieri: "Niente, tranne lei" , ma per diplomazia m'è parso meglio lasciar stare. "Lei ride tutto il tempo" continuava a urlare lui. E io in tutta innocenza: "Non me ne accorgo proprio, è la mia faccia normale". E lui: "Per favore non dica scemenze, vada fffuori", con una faccia che voleva dire: tra poco mi sentirai. Credo che questo fosse il momento psicologico in cui avrei dovuto spaventarmi a morte, ma quel trucco l'ho capito troppo in fretta.
In fondo, io non ho paura. Non per una forma di temerarietà, ma perché sono cosciente del fatto che ho sempre a che fare con degli esseri umani, e che cercherò di capire ogni espressione, di chiunque sia e fin dove mi sarà possibile. E il fatto storico di quella mattina non era che un infelice ragazzo della Gestapo si mettesse a urlare contro di me, ma che francamente io non ne provassi sdegno - anzi, che mi facesse pena, tanto che avrei voluto chiedergli: hai avuto una giovinezza così triste, o sei stato tradito dalla tua ragazza? Aveva un'aria così tormentata e assillata, del resto anche molto sgradevole e molle.
Avrei voluto cominciare subito a curarlo, ben sapendo che questi ragazzi sono da compiangere fin tanto che non sono in grado di fare del male, ma che diventano pericolosissimi se sono lasciati liberi di avventarsi sull'umanità. E' solo il sistema che usa questo tipo di persone a essere criminale. E quando si parla di sterminare, allora che sia il male dell'uomo, non l'uomo stesso.
Un'altra cosa ancora dopo quella mattina: la mia consapevolezza di non essere capace di odiare gli uomini malgrado il dolore e l'ingiustizia che ci sono al mondo, la coscienza che tutti questi orrori non sono un pericolo misterioso e lontano al di fuori di noi, ma che si trovano vicinissimi e nascono dentro di noi. E perciò sono molto più famigliari e assai meno terrificanti. Quel che fa paura è il fatto che certi sistemi possono crescere al punto di superare gli uomini e da tenerli stretti in una morsa diabolica, gli autori come le vittime: così, grandi edifici e torri, costruiti dagli uomini con le loro mani, s'innalzano sopra di noi, ci dominano, e possono crollarci addosso e seppellirci.

Venerdi mattina. Una volta è un Hitler; un'altra è Ivan il Terribile, per quanto mi riguarda; in un caso è la rassegnazione, in un altro sono le guerre, o la peste e i terremoti e la carestia. Quel che conta in definitiva è come si porta, sopporta e risolve il dolore, e se si riesce a mantenere intatto un pezzetto della propria anima.

Etty Hillesum. Middelburg, 15 gennaio 1914 - Auschwitz , 30 novembre 1943.

lunedì 2 luglio 2012

August Sander









Ho scoperto - piuttosto tardivamente - questo fotografo tedesco ( nato a Herdorf nel 1878 e morto a Cologna nel 1964). Trovo straordinarie somiglianze tra le sue opere e quelle - più recenti - di Diane Arbus. Forse sbaglio.

lunedì 25 giugno 2012

George Grosz

L'uomo non è buono - è un animale!


Il genere umano ha creato un sistema sociale spregevole in cui pochi sono al vertice e molti alla base. Alcuni guadagnano milioni, mentre migliaia su migliaia hanno appena l'indispensabile.






Con queste parole a commento di un proprio disegno del 1920, dal titolo Alle 5 del mattino! , il pittore George Grosz (Berlino, 26 luglio 1893 - Berlino, 6 luglio 1959) sintetizzava chiaramente il suo pensiero durante gli anni della Repubblica di Weimar, e sulla società, sempre più in declino di valori morali ed economici. I suoi disegni, caustici, apocalittici e taglienti denunciano senza alcuna retorica la situazione delicata e corrotta di quell'epoca particolare. Grosz, assieme al pittore Otto Dix, apparteneva al movimento Espressionista ( poi, dal 1925 circa, a quello della Nuova Oggettività).



Così descrisse gli anni '20 della Germania della Repubblica di Weimar: Si udivano ovunque voci di odio. L'odio era universale: odio contro gli ebrei, contro gli Junker, contro i capitalisti, i comunisti, i militaristi, i proprietari di case, i lavoratori, l'esercito, la commissione alleata di controllo, le corporazioni, i politici, i grandi magazzini, e ancora contro gli ebrei. Infuriava una vera orgia d'odio, e la debole repubblica era appena discernibile...Il mondo tedesco era negativo, virtualmente in sfacelo, anche se appariva felice e gaio; nulla sembrava presagire l'imminente avvento della barbarie.



Una spiazzante opera di Grosz, intitolata Wie werde ich...reich? (come diventare ricchi), è una sequenza di dodici vignette, pubblicate sulla rivista "Die Pleite" nel 1923. Ogni disegno/vignetta ha un proprio sottotitolo circa le "istruzioni" per diventare ricchi:



Sposa la donna giusta.



Diventa una star del cinema,



Vinci battaglie, perdi guerre, scrivi le tue memorie e investi in dollari e sterline d'argento.



Diventa un fascista e specula sui progrom per acquistare le proprietà degli ebrei.



Colleziona cicche di sigari.



Lancia una lotteria sportiva.



Diventa un separatista e i franchi entreranno da soli nelle tue tasche.



Entra in politica.



Diventa intermediario.



Fatti eleggere in Parlamento.



Sostieni il dollaro e fatti prestare i soldi dal governo.



Mai con il lavoro!



Le opere di Grosz, quelle di Dix, di Meidner, di Beckmann hanno coraggiosamente assunto l'importante ruolo di critica sociale, quei pittori pensatori che, nel giro di alcuni anni, Adolf Hitler etichettò come "degenerati".

mercoledì 20 giugno 2012

Da La mia scoperta dell'America - di Vladimir V. Majakovskij

MESSICO

...ma lo spettacolo più amato, quello più affollato, è la corrida.
L'enorme arena, tutta d'acciaio, è il solo edificio costruito a regola d'arte con un'imponenza tutta americana.
Circa cinquantamila persone, Molto prima della domenica, i giornali annunciano:

los ocho toros
(otto tori)

Si possono visitare in anticipo tori e cavalli che parteciperanno al combattimento. Famosi toreadores, matadores e picadores partecipano alla festa. All'ora stabilita, migliaia di carrozze, di signore del bel mondo che girano in Rolls-Royce, con le loro scimmiette addomesticate, e decine di migliaia di pedoni si avventano verso l'edificio d'acciaio.
I prezzi dei biglietti, tutti incettati dai bagarini, raddoppiano.
L'arena è all'aperto.
L'aristocrazia acquista i biglietti per il lato in ombra, quello più caro; la plebe per quello più economico, al sole. Se, uccisi due soli tori, in un programma che ne prevede sei o otto, la pioggia costringe ad interrompere il massacro, il pubblico (così è successo il giorno del mio arrivo) si imbestialisce e organizza un progrom dell'amministrazione e delle parti in legno.
Interviene allora la polizia e, con gli idranti, comincia ad annaffiare il settore assolato (plebeo).
Se non basta comincia a sparare, sempre su quelli al sole.
Toro.
Una folla enorme aspetta, di fronte all'ingresso, i propri beniamini, i toreri. Altolocati cittadini tentano di farsi fotografare accanto ad un altero matador; aristocratiche signore da loro da tenere in braccio i propri figli, evidentemente per riceverne il benefico influsso. I fotografi si appostano in un certo senso quasi sulle corna dei tori e la corrida prende il via.
Inizia con una festosa parata che dispensa scintilii a destra e a manca. E subito il pubblico, preso dalla furia, lancia nell'arena giacche, portamonete e guanti ai propri beniamini. A paragone con tutto ciò il prologo, quando cioè il toreador stuzzica il toro col suo drappo rosso, si svolge in un''atmosfera amena e pacifica. Ma con l'arrivo dei banderilleros, quando lo prime picche affondano nel collo del toro, quando i picadores squarciano i fianchi dell'animale e il toro a poco a poco si fa tutto rosso, quando le sue corna infuriate si imprimono nei ventri dei cavalli e i cavalli dei picadores per un attimo ancora corrono eruttando viscere, quello è il momento in cui la gioia insensata del pubblico tocca l'apice. Ho visto un uomo schizzar via dal proprio posto, afferrare il drappo del toreador e sventolarlo sotto il muso del toro.
E ho provato un'immensa gioia: il toro è stato capace di infilzare un corno nel costato dell'uomo, vendicando i suoi compagni.
L'uomo è stato portato via.
Nessuno gli ha prestato attenzione.
Non ho potuto né ho voluto vedere quando hanno portato la spada all'assassino capo e come egli l'abbia immersa nel cuore del toro. Solo dall'insensato fragore della folla ho capito che l'opera era terminata. In basso scuoiatori e coltelli erano già in attesa della bestia. Il mio unico rammarico era che non si potessero fissare delle mitragliatrici alle corna dei tori per poi insegnar loro a sparare.
Perché mai si dovrebbe avere pietà di una simile umanità?

NEW YORK

"Mosca. E' in Polonia?" mi chiesero al consolato americani in Messico.
"No" risposi "E' in URSS".
Neanche un attimo di turbamento.
Ottenni il visto.
Più tardi venni a sapere che se un americano deve affilare punte di un ago, riuscirà a farlo meglio di chiunque altro al mondo, senza tuttavia interessarsi delle crune. Le crune degli aghi non rientrano nel suo lavoro ed egli non si sente in obbligo di occuparsene.
Loredo. Frontiera con gli USA.
In uno stentato miscuglio di inglese e francese (puri brandelli di lingua), spiego a lungo scopi e diritti del mio ingresso in quel paese.
L'americano ascolta, tace, medita, non capisce, poi mi dice in russo:
"Sei giudeo?"
Resto di stucco.
L'americano non si inoltra in questo tema per mancanza di vocaboli.
Resta lì imbarazzato e, dopo una decina di minuti, mi dice a bruciapelo:
"Granderusso?"
"Granderusso, granderusso", faccio io tutto contento, resomi conto che nell'americano non c'era desiderio di progrom. Puro interesse burocratico. L'americano ci pensa ancora un po' su, indi sentenzia:
"Alla commissione"
Un distinto signore, sino ad allora niente di più che un normale passeggero, infilatosi un berretto gallonato, si rivelò un poliziotto addetto all'emigrazione.
Il poliziotto mi fece salire su un'auto assieme alle mie cose. Ci accostammo ed entrammo in una casa dove un uomo in maniche di camicia sedeva sotto la bandiera stellata.
Dietro quell'uomo si vedevano delle altre camere con delle grate. Venni messo in una di queste, assieme alle mie cose.
Tentai di uscire, ma delle zampe che erano tutto un programma mi risbatterono indietro.
Poco lontano si udiva il fischio del mio treno per New York.
Restai lì quattro ore.
Entrarono ad informarsi in quale lingua mi sarei espresso.
Per timidezza (è imbarazzante non sapere neppure una lingua) indicai il francese.
Mi condussero in un'altra stanza.
Quattro tipi minacciosi e un francese, l'interprete.
In francese so dire giusto qualcosa di molto semplice sul tè e i pasticcini, ma della frase che mi disse il francese non capii un accidente; così mi aggrappai convulsamente all'ultima parola, tentando di penetrarne il significato nascosto, ricorrendo all'intuizione.
E mentre io cercavo di penetrare questo significato, il francese s'era perfettamente reso conto che io non avevo capito un bel niente. Gli americani fecero un gesto con le mani e mi portarono via.
Restai lì per altre due ore, riuscendo a trovare nel dizionario l'ultima parola che il francese aveva detto.
Venne fuori che voleva dire:
'Giuramento'

1925

domenica 17 giugno 2012

Tinissima

Non c'è nulla di più persuasivo ed espressivo di ciò che possiamo vedere con i nostri occhi. Sia che descriviamo un attacco armato della polizia contro una manifestazione di operai, o il corpo calpestato da un poliziotto a cavallo, o quello di un nero linciato da un boia brutale assetato di sangue, né un disegno, né un'immagine verbale o scritta saranno mai tanto efficaci quanto una riproduzione fotografica. Il fotografo è l'artista grafico più imparziale. Coglie solo ciò che viene offerto al suo obbiettivo nell'attimo esatto in cui scatta. Un'immagine fotografica può essere capita in un altro Paese, da tutte le nazioni... a prescindere dalla lingua, dal titolo e dalle spiegazioni.



Tina Modotti

venerdì 15 giugno 2012

Umanità

Oh tu, miliardi due di solitudine
accoppiata, non tema di rinascere,
umanità per te. Mia madre affranta
non ti intese, come me ti aumentò in pena.

Piangere ti ho vista sul gelo dei fiumi,
come un bimbo ferito dall'ardore
dei ghiacci: uccidere, morire, e come
non vissuta, risplendere sulle mura

di grandi chiese. Sui monti ti ho visto
e nelle stalle, a cuccia: vivi come
se fossi: ben ti meriti la morte

per madre! Esangue attendi ti dissanguinano, e
sempre ti addita la pazzia associante,
che ti ritrova in ogni sofferenza.

Attila Jòsef

mercoledì 6 giugno 2012

David Olère

Le opere di David Olère - nato a Varsavia il 19 gennaio 1902, arrestato in Francia durante i rastrellamenti e deportato nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau - sono la più impressionante e viva testimonianza della memoria di una delle pagine più agghiaccianti della storia dell'uomo. Sopravvissuto al lavoro nel Sonderkommando, di cui Olère ha fatto parte, ha registrato con disegni, schizzi e quadri scene di vita quotidiana nel campo di sterminio. David Olère studiò all'Accademia delle Belle Arti di Varsavia, successivamente si trasferì in Francia, a Parigi, dove frequentò l'ambiente artistico dei quartieri di Montmartre e Montparnasse. Nel 1930 sposò una giovane modista, Juliette, dalla quale ebbe un figlio, Alexandre. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, David Olère venne mandato in missione a Lons - le - Saunier. Di lì a poco, venne arrestato e imprigionato a Drancy. Il 2 marzo del 1943, Olère fu caricato su un treno dal campo di internamento di Drancy ad Auschwitz. All'arrivo, venne incaricato a lavorare nel campo, assieme ai restanti sopravvissuti alle camere a gas - 119 su circa mille persone scese con lui dal convoglio. La conoscenza di sei lingue e l'abilità di illustratore gli salvarono la vita. Evacuato di nascosto nel gennaio del 1945 a fronte dell'avanzata dell'Armata Rossa, sopravvisse all "marcia della morte" che lo condusse a Mauthausen e a Ebensee, dove venne liberato dall'esercito americano il 6 maggio. David Olère ritornò prima a Varsavia e successivamente a Parigi dal figlio e dalla moglie, alla quale raccontò ciò che aveva visto e vissuto durante la prigionia e il lavoro al Sonderkommando. La moglie sulle prime pensò che il marito fosse diventato pazzo. L'attività artistica di David Olère cominciò nel 1945, sempre registrando i ricordi dell'atroce esperienza concetrazionaria. Partendo da schizzi e disegni, iniziò a dipingere su tela, e nel 1976 donò alcune sue opere al Museo di Arte del kibbutz del Ghetto Fighters. Morì il 21 agosto 1985, nei pressi di Parigi, insidiato dalle teorie negazioniste. Il figlio Alexandre continua ancora oggi a contribuire per riportare alla luce le opere, la testimonianza e la vicenda umana dell'artista.

domenica 6 maggio 2012

Il futuro

E so molto bene che non ci sarai.
Non ci sarai nella strada,
non nel mormorio che sgorga di notte
dai pali che la illuminano,
neppure nel gesto di scegliere il menù,
o nel sorriso che allegerisce il "tutto completo" delle sotterranee,
nei libri prestati e nell' arrivederci a domani.

Nei miei sogni non ci sarai,
nel destino originale delle parole,
né ci sarai in un numero di telefono
o nel colore di un paio di guanti, di una blusa.
Mi infurierò, amore mio, e non sarà per te,
e non per te comprerò dolci,
all'angolo della strada mi fermerò,
a quell'angolo a cui non svolterai,
e dirò le parole che si dicono,
e mangerò le cose che si mangiano
e sognerò i sogni che si sognano
e so molto bene che non ci sarai,
né qui dentro, il carcere dove ancora ti detengo,
né là fuori, in quel fiume di strade e di ponti.
Non ci sarai per niente, non sarai neppure un ricordo,
e quando ti penserò, penserò un pensiero
che oscuramente cercherà di ricordarsi di te.

Julio Cortazar

domenica 29 aprile 2012

Una lettera di Tina Modotti a Edward Weston






25 giugno 1927


Mio Dio Edward le tue ultime fotografie mi hanno davvero "tolto il fiato"! Davanti a loro mi sento senza parole. Che purezza di visione trasmettono. Appena ho aperto il pacco non riuscivo a guardarle a lungo, mi hanno rimescolata tutta nel profondo fino a farmi sentire un dolore fisico.

Edward questo è solo per dirti che le ho ricevute! Oggi pranzo con Felipe e dopo avergliele mostrate ti scriverò di nuovo.

Grazie per la gioia e gli stimoli che queste stampe mi hanno dato. - Se non ti scriverò ancora oggi certamente lo farò domani.

Tina




Stessa mattina. Poco più tardi.


Sto aspettando che Felipe venga a prendermi - le tue foto sono qui davanti a me - Edward - prima d'ora nell'arte non c'è stato nulla che mi abbia colpito come queste fotografie - non riesco proprio a guardarle a lungo senza sentirmi profondamente sconvolta - non mi turbano solo mentalmente ma fisicamente. - C'è qualcosa di così puro e nello stesso tempo qualcosa di così perverso in loro. -Racchiudono sia l'innocenza delle cose naturali che la morbosità di una mente sofisticata e distorta. Mi fanno pensare a gigli e allo stesso tempo a embrioni. Sono mistiche ed erotiche. - Felipe ha appena telefonato pregandomi di raggiungerlo alla "Pensione" - quindi devo mettere in fretta questa in una busta e spedirla mentre ci vado - a più tardi.



Stessa giornata. Sera.


Edward caro

Ti ho spedito due righe questa mattina - ma ora eccomi di nuovo qui dopo aver visto Felipe e avergli mostrato le fotografie. Pepe ci ha raggiunto durante il pranzo e così quando ho fatto vedere le tue foto c'era anche lui.

Bene Edward l'effetto è stato formidabile anche su di loro. io li ho osservati con attenzione dato che alla prima occhiata queste tue ultime fotografie mi avevano colpito così stranamente - Bene, sai quanto Felipe sia particolarmente perspicace - sebbene anche Pepe sia molto sensibile e non manchi di cogliere le sfumature delle cose - perciò è stato interessante assistere ai loro commenti e alle loro reazioni - Nell' insieme le loro reazioni sono state molto simili alle mie - Felipe era così entusiasta che ha fatto la promessa impulsiva di scrivertene - Noi tre abbiamo passato un paio d'ore a discutere delle foto e di tutti i problemi che le foto che avevamo davanti avevano suscitato in noi. La discussione è stat per me molto interessante perché si parlava proprio dell'approccio dell'artista nei confronti della vita - Ora poiché le azioni di un artista sono il risultato dello stato della sua mente e della sua anima al momento della creazione, queste tue ultime foto sono allo stesso tempo molto sensuali ed è per questo che nella nota di stamattina ti dicevo che sono sia mistiche che erotiche - Non posso neanche tentare di raccontare tutto quello che è stato detto da Felipe e Pepe e poi credo davvero che Felipe ti scriverà sicuramente. Finora non ho fatto neanche un cenno alla qualità fotografica e alla trama squisita delle conchiglie così come tu le hai rese - questo naturalmente è stato commentato a dovere - particolarmente da me che guardavo tutto con occhio fotografico ben attento.


Mattino dopo - 26 giugno 1927


Ieri sera è venuto Renè - Non c'è alcun dubbio sulla sua finezza di critica e di reazione alle cose - Strano Edward che senza che io dicessi una parola delle mie reazioni alle fotografie anche lui abbia usato il termine erotico - il che mi ricorda tutto l'erotismo sentito in persone diverse come la mia fotografia della calla - le rose e Tepotzotlàn. Renè ha espresso come me il turbamento che gli causavano queste stampe. Per usare le sue parole ha detto che si sentiva "debole alle ginocchia". Dovrò senz'altro trovare il modo di mostrarle a Diego - la settimana prossima dovrò andare alla Secretarìa per riprodurre il suo ultimo affresco e le porterò con me sperando di trovarlo. Lupe ha avuto un'altra bambina - Frances dice che quest'ultima figlia è grossa è molto sana. Tra l'altro Frances mi ha pregato di chiederti di mandarle alcune foto di juguetes per i prossimi numeri di "Mexican Folkways"
Devo vedere Ledesma per queste nuove stampe e capire se ne vuole qualcuna.
Questo è tutto per il momento caro. Spero che tu dia per scontato che se io uso le parole turbamento - erotico ecc. - sono pazza di queste tue ultime creazioni - sono state una gioia e un'ispirazione e te ne ringrazio. Strano che ieri pomeriggio - in un negozio sul F. y Madero abbia visto una vetrina piena di conchiglie alcune molto simili a quelle fotografate da te. Molto probabilmente non le avrei notate prima.


Teneramente Tina

mercoledì 18 aprile 2012

da solo insieme agli altri

la carne ricopre le ossa
e ci mettono dentro
una mente e

qualche volta un'anima,
e le donne tirano
vasi contro il muro
e gli uomini bevono
troppo
e nessuno trova
la persona giusta
ma continuano
a cercarla
trascinandosi
da un letto all'altro.
la carne ricopre
le ossa e la
carne cerca
qualcosa in più della
sola carne.

ma non c'è proprio
speranza:
siamo tutti preda
di uno strano
destino.

nessuno trova mai
la persona giusta.

gli immondezzai della città si riempiono
i depositi di roba vecchia si riempiono
i manicomi si riempiono
gli ospedali
i cimiteri si riempiono.

non si riempie
niente altro.

Charles Bukowski

domenica 8 aprile 2012

Abbraccio

Cuore nel cuore. E respiro nel respiro.
Così vicino a me, tanto da non vederti.
Oltre alla tua spalla vedevo in lontananza un monte oscuro.
Ero protesa in uno slancio quasi a oltrepassarti.

Sentivo battere il cuore impazzito delle stelle.
Accoglievo il vento affannato, rivestito di foglie.
Mi aprivo alle ombre dei boschi che venivano incontro
e ai rami che si aprivano ad abbracciare la notte.

La lontananza inspiravo in un sorso enorme.
Premevo vento, nubi e stelle al mio petto.
E nel cerchio stretto di un abbraccio
ho rinchiuso l'infinito intero del mondo.

Blaga Dimitrova

sabato 7 aprile 2012

Doris




Doris si sveglia ogni mattina/ alle sette in punto /scende le scale /con sulla pelle delle gambe /evidenti segni di lenzuola /con gli occhi gonfi /e ancora in bocca/il gusto amaro del caffè

Doris canta una canzone che/sembra una bandiera/tu non ci crederai/ma quando canta Doris/avvengono i miracoli//

Un pompiere in preda al panico/salvato dai bambini/obesi americani pattinare /sembrano farfalle, sul ghiaccio//mio marito si innamora di nuovo di me

( ci mancava solo questa...)

una suora compra il corriere/e ci nasconde il Manifesto dentro//gli operai della nettezza urbana/cantano la marsigliese/una coppia di zingari prende un tassì/saluta sorridente, e poi va via//dalla bocca di uno sbirro escono parole oneste/te l'avevo detto io/quando Doris canta la sua canzone/avvengono i miracoli!

Doris si corica a dormire /a mezzanotte in punto/sale le scale/con nelle gambe e dentro il cuore/evidenti segni di stanchezza//con gli occhi gonfi/e ancora in testa /il sogno triste di un lavoro//Doris canta una canzone che/sembra una bandiera//tu non ci crederai/ma quando canta Doris/avvengono i miracoli//tu non ci crederai, a dire il vero/tu non hai mai creduto in niente/ma quando Doris canta /i miracoli avvengono sul serio//Un pompiere in preda al panico/salvato dai bambini/mio marito si innamora di nuovo di me/gli operai della nettezza urbana/cantano la marsigliese/una coppia di zingari prende un tassì/saluta sorridente e poi va via//dalla bocca di uno sbirro/escono parole oneste/i politici crepano

Io oggi ho voglia di parlare con te

che non mi ascolti mai

Tu non mi ascolti mai.


( Il Teatro degli Orrori - libera interpretazione di un brano degli Shellac - da Il Mondo Nuovo, 2012)

Venezia - Anna Achmatova





Colombaia dorata sull'acqua,
tenera e verde struggente,


e una brezza marina che spazza

la scia sottile delle barche nere.


Che dolci, strani volti tra la folla,

nelle botteghe lucenti balocchi:

un leone col libro su un cuscino a ricami,

un leone col libro su una colonna di marmo.


Come su di un'antica tela scolorita,

il cielo azzurro fioco si rapprende...

ma non si è stretti in questa angustia,

e non opprimono l'umido e l'afa.



1912