A te, che dovevi esser nato
un secolo dopo, quando avrò ripreso fiato -
dal sottosuolo, come un condannato a morte,
con la mia mano - scriverò:
Amico! Non cercarmi! Altra moda!
Di me non si ricordano nemmeno i vegliardi.
Con la mia bocca non ci si tocca! Oltre le acque del Lete
protendo due mani.
Come due roghi io vedo i tuoi occhi,
fiammeggianti verso di me, nella tomba, nell'inferno.
Quella, vedenti, che non muove neanche una mano,
morta cento anni fa.
Con me, nella mano, quasi una manciata di polvere:
le mie poesie! Vedo: al vento
tu cerchi la casa dove io sono nata - oppure
in cui morirò.
Le donne che ti vengono incontro, quelle, le vive, le felici -
io sono fiera di come le guardi, e colgo le parole:
"Assembramento d' usurpatrici! Siete tutte morte voi!
Lei sola è viva!
Io l'ho servita, in volonontario servizio,
tutti i segreti conoscevo, tutto il fondaco dei suoi anelli!
Saccheggiatrici di defunte! Questi anelli
sono rubati a lei!"
Oh, i miei cento anelli! Mi si tirano le vene,
per la prima volta mi pento
che tanti a destra e a manca ne ho regalati -
non ti avevo aspettato!
E ancora mi fa tristezza che in questa sera
d'oggi così lungamente io sia andata dietro
al sole che tramontava - e incontro
a te: attraverso cento anni.
Scommetto che tu scagli una maledizione
ai miei amici, verso la caligine delle tombe:
"Tutti la lodavate! Ma un abito rosa
nessuno le ha regalato!
Chi era più disinteressato?!" No, io la cupida!
Già che non mi ucciderai, non c'è avidità da nascondere,
che a tutti io chiedevo le lettere
per baciarle di notte.
Dirlo?! Lo dirò! Il non essere è una convenzione.
Tu per me adesso sei il più appassionato degli ospiti
e tu rifiuterai la perla di tutte le amanti
in nome di quella - delle ossa.
Marina Ivanovna Cvetaeva
1919
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