lunedì 25 giugno 2012

George Grosz

L'uomo non è buono - è un animale!


Il genere umano ha creato un sistema sociale spregevole in cui pochi sono al vertice e molti alla base. Alcuni guadagnano milioni, mentre migliaia su migliaia hanno appena l'indispensabile.






Con queste parole a commento di un proprio disegno del 1920, dal titolo Alle 5 del mattino! , il pittore George Grosz (Berlino, 26 luglio 1893 - Berlino, 6 luglio 1959) sintetizzava chiaramente il suo pensiero durante gli anni della Repubblica di Weimar, e sulla società, sempre più in declino di valori morali ed economici. I suoi disegni, caustici, apocalittici e taglienti denunciano senza alcuna retorica la situazione delicata e corrotta di quell'epoca particolare. Grosz, assieme al pittore Otto Dix, apparteneva al movimento Espressionista ( poi, dal 1925 circa, a quello della Nuova Oggettività).



Così descrisse gli anni '20 della Germania della Repubblica di Weimar: Si udivano ovunque voci di odio. L'odio era universale: odio contro gli ebrei, contro gli Junker, contro i capitalisti, i comunisti, i militaristi, i proprietari di case, i lavoratori, l'esercito, la commissione alleata di controllo, le corporazioni, i politici, i grandi magazzini, e ancora contro gli ebrei. Infuriava una vera orgia d'odio, e la debole repubblica era appena discernibile...Il mondo tedesco era negativo, virtualmente in sfacelo, anche se appariva felice e gaio; nulla sembrava presagire l'imminente avvento della barbarie.



Una spiazzante opera di Grosz, intitolata Wie werde ich...reich? (come diventare ricchi), è una sequenza di dodici vignette, pubblicate sulla rivista "Die Pleite" nel 1923. Ogni disegno/vignetta ha un proprio sottotitolo circa le "istruzioni" per diventare ricchi:



Sposa la donna giusta.



Diventa una star del cinema,



Vinci battaglie, perdi guerre, scrivi le tue memorie e investi in dollari e sterline d'argento.



Diventa un fascista e specula sui progrom per acquistare le proprietà degli ebrei.



Colleziona cicche di sigari.



Lancia una lotteria sportiva.



Diventa un separatista e i franchi entreranno da soli nelle tue tasche.



Entra in politica.



Diventa intermediario.



Fatti eleggere in Parlamento.



Sostieni il dollaro e fatti prestare i soldi dal governo.



Mai con il lavoro!



Le opere di Grosz, quelle di Dix, di Meidner, di Beckmann hanno coraggiosamente assunto l'importante ruolo di critica sociale, quei pittori pensatori che, nel giro di alcuni anni, Adolf Hitler etichettò come "degenerati".

mercoledì 20 giugno 2012

Da La mia scoperta dell'America - di Vladimir V. Majakovskij

MESSICO

...ma lo spettacolo più amato, quello più affollato, è la corrida.
L'enorme arena, tutta d'acciaio, è il solo edificio costruito a regola d'arte con un'imponenza tutta americana.
Circa cinquantamila persone, Molto prima della domenica, i giornali annunciano:

los ocho toros
(otto tori)

Si possono visitare in anticipo tori e cavalli che parteciperanno al combattimento. Famosi toreadores, matadores e picadores partecipano alla festa. All'ora stabilita, migliaia di carrozze, di signore del bel mondo che girano in Rolls-Royce, con le loro scimmiette addomesticate, e decine di migliaia di pedoni si avventano verso l'edificio d'acciaio.
I prezzi dei biglietti, tutti incettati dai bagarini, raddoppiano.
L'arena è all'aperto.
L'aristocrazia acquista i biglietti per il lato in ombra, quello più caro; la plebe per quello più economico, al sole. Se, uccisi due soli tori, in un programma che ne prevede sei o otto, la pioggia costringe ad interrompere il massacro, il pubblico (così è successo il giorno del mio arrivo) si imbestialisce e organizza un progrom dell'amministrazione e delle parti in legno.
Interviene allora la polizia e, con gli idranti, comincia ad annaffiare il settore assolato (plebeo).
Se non basta comincia a sparare, sempre su quelli al sole.
Toro.
Una folla enorme aspetta, di fronte all'ingresso, i propri beniamini, i toreri. Altolocati cittadini tentano di farsi fotografare accanto ad un altero matador; aristocratiche signore da loro da tenere in braccio i propri figli, evidentemente per riceverne il benefico influsso. I fotografi si appostano in un certo senso quasi sulle corna dei tori e la corrida prende il via.
Inizia con una festosa parata che dispensa scintilii a destra e a manca. E subito il pubblico, preso dalla furia, lancia nell'arena giacche, portamonete e guanti ai propri beniamini. A paragone con tutto ciò il prologo, quando cioè il toreador stuzzica il toro col suo drappo rosso, si svolge in un''atmosfera amena e pacifica. Ma con l'arrivo dei banderilleros, quando lo prime picche affondano nel collo del toro, quando i picadores squarciano i fianchi dell'animale e il toro a poco a poco si fa tutto rosso, quando le sue corna infuriate si imprimono nei ventri dei cavalli e i cavalli dei picadores per un attimo ancora corrono eruttando viscere, quello è il momento in cui la gioia insensata del pubblico tocca l'apice. Ho visto un uomo schizzar via dal proprio posto, afferrare il drappo del toreador e sventolarlo sotto il muso del toro.
E ho provato un'immensa gioia: il toro è stato capace di infilzare un corno nel costato dell'uomo, vendicando i suoi compagni.
L'uomo è stato portato via.
Nessuno gli ha prestato attenzione.
Non ho potuto né ho voluto vedere quando hanno portato la spada all'assassino capo e come egli l'abbia immersa nel cuore del toro. Solo dall'insensato fragore della folla ho capito che l'opera era terminata. In basso scuoiatori e coltelli erano già in attesa della bestia. Il mio unico rammarico era che non si potessero fissare delle mitragliatrici alle corna dei tori per poi insegnar loro a sparare.
Perché mai si dovrebbe avere pietà di una simile umanità?

NEW YORK

"Mosca. E' in Polonia?" mi chiesero al consolato americani in Messico.
"No" risposi "E' in URSS".
Neanche un attimo di turbamento.
Ottenni il visto.
Più tardi venni a sapere che se un americano deve affilare punte di un ago, riuscirà a farlo meglio di chiunque altro al mondo, senza tuttavia interessarsi delle crune. Le crune degli aghi non rientrano nel suo lavoro ed egli non si sente in obbligo di occuparsene.
Loredo. Frontiera con gli USA.
In uno stentato miscuglio di inglese e francese (puri brandelli di lingua), spiego a lungo scopi e diritti del mio ingresso in quel paese.
L'americano ascolta, tace, medita, non capisce, poi mi dice in russo:
"Sei giudeo?"
Resto di stucco.
L'americano non si inoltra in questo tema per mancanza di vocaboli.
Resta lì imbarazzato e, dopo una decina di minuti, mi dice a bruciapelo:
"Granderusso?"
"Granderusso, granderusso", faccio io tutto contento, resomi conto che nell'americano non c'era desiderio di progrom. Puro interesse burocratico. L'americano ci pensa ancora un po' su, indi sentenzia:
"Alla commissione"
Un distinto signore, sino ad allora niente di più che un normale passeggero, infilatosi un berretto gallonato, si rivelò un poliziotto addetto all'emigrazione.
Il poliziotto mi fece salire su un'auto assieme alle mie cose. Ci accostammo ed entrammo in una casa dove un uomo in maniche di camicia sedeva sotto la bandiera stellata.
Dietro quell'uomo si vedevano delle altre camere con delle grate. Venni messo in una di queste, assieme alle mie cose.
Tentai di uscire, ma delle zampe che erano tutto un programma mi risbatterono indietro.
Poco lontano si udiva il fischio del mio treno per New York.
Restai lì quattro ore.
Entrarono ad informarsi in quale lingua mi sarei espresso.
Per timidezza (è imbarazzante non sapere neppure una lingua) indicai il francese.
Mi condussero in un'altra stanza.
Quattro tipi minacciosi e un francese, l'interprete.
In francese so dire giusto qualcosa di molto semplice sul tè e i pasticcini, ma della frase che mi disse il francese non capii un accidente; così mi aggrappai convulsamente all'ultima parola, tentando di penetrarne il significato nascosto, ricorrendo all'intuizione.
E mentre io cercavo di penetrare questo significato, il francese s'era perfettamente reso conto che io non avevo capito un bel niente. Gli americani fecero un gesto con le mani e mi portarono via.
Restai lì per altre due ore, riuscendo a trovare nel dizionario l'ultima parola che il francese aveva detto.
Venne fuori che voleva dire:
'Giuramento'

1925

domenica 17 giugno 2012

Tinissima

Non c'è nulla di più persuasivo ed espressivo di ciò che possiamo vedere con i nostri occhi. Sia che descriviamo un attacco armato della polizia contro una manifestazione di operai, o il corpo calpestato da un poliziotto a cavallo, o quello di un nero linciato da un boia brutale assetato di sangue, né un disegno, né un'immagine verbale o scritta saranno mai tanto efficaci quanto una riproduzione fotografica. Il fotografo è l'artista grafico più imparziale. Coglie solo ciò che viene offerto al suo obbiettivo nell'attimo esatto in cui scatta. Un'immagine fotografica può essere capita in un altro Paese, da tutte le nazioni... a prescindere dalla lingua, dal titolo e dalle spiegazioni.



Tina Modotti

venerdì 15 giugno 2012

Umanità

Oh tu, miliardi due di solitudine
accoppiata, non tema di rinascere,
umanità per te. Mia madre affranta
non ti intese, come me ti aumentò in pena.

Piangere ti ho vista sul gelo dei fiumi,
come un bimbo ferito dall'ardore
dei ghiacci: uccidere, morire, e come
non vissuta, risplendere sulle mura

di grandi chiese. Sui monti ti ho visto
e nelle stalle, a cuccia: vivi come
se fossi: ben ti meriti la morte

per madre! Esangue attendi ti dissanguinano, e
sempre ti addita la pazzia associante,
che ti ritrova in ogni sofferenza.

Attila Jòsef

mercoledì 6 giugno 2012

David Olère

Le opere di David Olère - nato a Varsavia il 19 gennaio 1902, arrestato in Francia durante i rastrellamenti e deportato nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau - sono la più impressionante e viva testimonianza della memoria di una delle pagine più agghiaccianti della storia dell'uomo. Sopravvissuto al lavoro nel Sonderkommando, di cui Olère ha fatto parte, ha registrato con disegni, schizzi e quadri scene di vita quotidiana nel campo di sterminio. David Olère studiò all'Accademia delle Belle Arti di Varsavia, successivamente si trasferì in Francia, a Parigi, dove frequentò l'ambiente artistico dei quartieri di Montmartre e Montparnasse. Nel 1930 sposò una giovane modista, Juliette, dalla quale ebbe un figlio, Alexandre. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, David Olère venne mandato in missione a Lons - le - Saunier. Di lì a poco, venne arrestato e imprigionato a Drancy. Il 2 marzo del 1943, Olère fu caricato su un treno dal campo di internamento di Drancy ad Auschwitz. All'arrivo, venne incaricato a lavorare nel campo, assieme ai restanti sopravvissuti alle camere a gas - 119 su circa mille persone scese con lui dal convoglio. La conoscenza di sei lingue e l'abilità di illustratore gli salvarono la vita. Evacuato di nascosto nel gennaio del 1945 a fronte dell'avanzata dell'Armata Rossa, sopravvisse all "marcia della morte" che lo condusse a Mauthausen e a Ebensee, dove venne liberato dall'esercito americano il 6 maggio. David Olère ritornò prima a Varsavia e successivamente a Parigi dal figlio e dalla moglie, alla quale raccontò ciò che aveva visto e vissuto durante la prigionia e il lavoro al Sonderkommando. La moglie sulle prime pensò che il marito fosse diventato pazzo. L'attività artistica di David Olère cominciò nel 1945, sempre registrando i ricordi dell'atroce esperienza concetrazionaria. Partendo da schizzi e disegni, iniziò a dipingere su tela, e nel 1976 donò alcune sue opere al Museo di Arte del kibbutz del Ghetto Fighters. Morì il 21 agosto 1985, nei pressi di Parigi, insidiato dalle teorie negazioniste. Il figlio Alexandre continua ancora oggi a contribuire per riportare alla luce le opere, la testimonianza e la vicenda umana dell'artista.