mercoledì 20 giugno 2012

Da La mia scoperta dell'America - di Vladimir V. Majakovskij

MESSICO

...ma lo spettacolo più amato, quello più affollato, è la corrida.
L'enorme arena, tutta d'acciaio, è il solo edificio costruito a regola d'arte con un'imponenza tutta americana.
Circa cinquantamila persone, Molto prima della domenica, i giornali annunciano:

los ocho toros
(otto tori)

Si possono visitare in anticipo tori e cavalli che parteciperanno al combattimento. Famosi toreadores, matadores e picadores partecipano alla festa. All'ora stabilita, migliaia di carrozze, di signore del bel mondo che girano in Rolls-Royce, con le loro scimmiette addomesticate, e decine di migliaia di pedoni si avventano verso l'edificio d'acciaio.
I prezzi dei biglietti, tutti incettati dai bagarini, raddoppiano.
L'arena è all'aperto.
L'aristocrazia acquista i biglietti per il lato in ombra, quello più caro; la plebe per quello più economico, al sole. Se, uccisi due soli tori, in un programma che ne prevede sei o otto, la pioggia costringe ad interrompere il massacro, il pubblico (così è successo il giorno del mio arrivo) si imbestialisce e organizza un progrom dell'amministrazione e delle parti in legno.
Interviene allora la polizia e, con gli idranti, comincia ad annaffiare il settore assolato (plebeo).
Se non basta comincia a sparare, sempre su quelli al sole.
Toro.
Una folla enorme aspetta, di fronte all'ingresso, i propri beniamini, i toreri. Altolocati cittadini tentano di farsi fotografare accanto ad un altero matador; aristocratiche signore da loro da tenere in braccio i propri figli, evidentemente per riceverne il benefico influsso. I fotografi si appostano in un certo senso quasi sulle corna dei tori e la corrida prende il via.
Inizia con una festosa parata che dispensa scintilii a destra e a manca. E subito il pubblico, preso dalla furia, lancia nell'arena giacche, portamonete e guanti ai propri beniamini. A paragone con tutto ciò il prologo, quando cioè il toreador stuzzica il toro col suo drappo rosso, si svolge in un''atmosfera amena e pacifica. Ma con l'arrivo dei banderilleros, quando lo prime picche affondano nel collo del toro, quando i picadores squarciano i fianchi dell'animale e il toro a poco a poco si fa tutto rosso, quando le sue corna infuriate si imprimono nei ventri dei cavalli e i cavalli dei picadores per un attimo ancora corrono eruttando viscere, quello è il momento in cui la gioia insensata del pubblico tocca l'apice. Ho visto un uomo schizzar via dal proprio posto, afferrare il drappo del toreador e sventolarlo sotto il muso del toro.
E ho provato un'immensa gioia: il toro è stato capace di infilzare un corno nel costato dell'uomo, vendicando i suoi compagni.
L'uomo è stato portato via.
Nessuno gli ha prestato attenzione.
Non ho potuto né ho voluto vedere quando hanno portato la spada all'assassino capo e come egli l'abbia immersa nel cuore del toro. Solo dall'insensato fragore della folla ho capito che l'opera era terminata. In basso scuoiatori e coltelli erano già in attesa della bestia. Il mio unico rammarico era che non si potessero fissare delle mitragliatrici alle corna dei tori per poi insegnar loro a sparare.
Perché mai si dovrebbe avere pietà di una simile umanità?

NEW YORK

"Mosca. E' in Polonia?" mi chiesero al consolato americani in Messico.
"No" risposi "E' in URSS".
Neanche un attimo di turbamento.
Ottenni il visto.
Più tardi venni a sapere che se un americano deve affilare punte di un ago, riuscirà a farlo meglio di chiunque altro al mondo, senza tuttavia interessarsi delle crune. Le crune degli aghi non rientrano nel suo lavoro ed egli non si sente in obbligo di occuparsene.
Loredo. Frontiera con gli USA.
In uno stentato miscuglio di inglese e francese (puri brandelli di lingua), spiego a lungo scopi e diritti del mio ingresso in quel paese.
L'americano ascolta, tace, medita, non capisce, poi mi dice in russo:
"Sei giudeo?"
Resto di stucco.
L'americano non si inoltra in questo tema per mancanza di vocaboli.
Resta lì imbarazzato e, dopo una decina di minuti, mi dice a bruciapelo:
"Granderusso?"
"Granderusso, granderusso", faccio io tutto contento, resomi conto che nell'americano non c'era desiderio di progrom. Puro interesse burocratico. L'americano ci pensa ancora un po' su, indi sentenzia:
"Alla commissione"
Un distinto signore, sino ad allora niente di più che un normale passeggero, infilatosi un berretto gallonato, si rivelò un poliziotto addetto all'emigrazione.
Il poliziotto mi fece salire su un'auto assieme alle mie cose. Ci accostammo ed entrammo in una casa dove un uomo in maniche di camicia sedeva sotto la bandiera stellata.
Dietro quell'uomo si vedevano delle altre camere con delle grate. Venni messo in una di queste, assieme alle mie cose.
Tentai di uscire, ma delle zampe che erano tutto un programma mi risbatterono indietro.
Poco lontano si udiva il fischio del mio treno per New York.
Restai lì quattro ore.
Entrarono ad informarsi in quale lingua mi sarei espresso.
Per timidezza (è imbarazzante non sapere neppure una lingua) indicai il francese.
Mi condussero in un'altra stanza.
Quattro tipi minacciosi e un francese, l'interprete.
In francese so dire giusto qualcosa di molto semplice sul tè e i pasticcini, ma della frase che mi disse il francese non capii un accidente; così mi aggrappai convulsamente all'ultima parola, tentando di penetrarne il significato nascosto, ricorrendo all'intuizione.
E mentre io cercavo di penetrare questo significato, il francese s'era perfettamente reso conto che io non avevo capito un bel niente. Gli americani fecero un gesto con le mani e mi portarono via.
Restai lì per altre due ore, riuscendo a trovare nel dizionario l'ultima parola che il francese aveva detto.
Venne fuori che voleva dire:
'Giuramento'

1925

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