giovedì 12 luglio 2012

Dal diario di Etty Hillesum

Lunedì 4 agosto 1941, le due e mezzo di pomeriggio. S. dice che l'amore per tutti gli uomini è superiore all'amore per un uomo solo: perché l'amore per il singolo è una forma di amore di sé. S. è un uomo maturo di 55 anni, che ha raggiunto questo stadio di amore per tutti gli uomini dopo aver amato molte persone singole, nel corso della sua lunga vita. Io sono una donnetta di 27 anni; anch'io mi porto dentro questo grande amore per tutta l'umanità, eppure mi domando se non continuerò a cercarmi il mio unico uomo. E mi domando fino a che punto questo sia un limite della donna: fino a che punto si tratti cioè di una tradizione di secoli, da cui la donna si debba affrancare, oppure una qualità talmente essenziale che la donna farebbe violenza a se stessa se desse il proprio amore a tutta l'umanità ( non sono ancora in grado di concepire una sintesi ). Forse, la mancanza di donne nel campo della scienza e nell'arte si spiega così: col fatto che la donna si cerca sempre un uomo solo, a cui trasmette poi tutta la propria conoscenza, calore, amore, capacità creativa.
La donna cerca l'uomo e non l'umanità.
(...)

27 febbraio, venerdì mattina, le dieci. Mi sembra presuntuoso affermare che un uomo possa determinare il proprio destino dall'interno. Quel che invece un uomo ha in mano è il proprio orientamento interiore verso il destino. I fatti esterni non bastano per capire la vita di una persona: bisogna conoscere i sogni, i rapporti con la famiglia, gli stati d'animo, le delusioni, la malattia e la morte.
Mercoledì mattina presto, quando con un gruppo numeroso ci siamo trovati in quel locale della Gestapo, i fatti delle nostre vite erano tutti uguali: eravamo tutti nello stesso ambiente, gli uomini dietro alla scrivania come quelli che venivano interrogati. Ciò che qualificava la vita di ciascuno era l'atteggiamento interiore verso quei fatti. Si notava subito un giovane che camminando su e giù con un'espressione palesemente scontenta, assillata e tormentata. Cercava in continuazione pretesti per urlare a quei disgraziati ebrei: "Mani fuori dalle tasche, per favore...", ecc. Per me era da compiangere più di coloro a cui stava urlando; e questi, a loro volta, facevano pena nella misura in cui erano impauriti. Quando mi sono presentata davanti alla scrivania, mi ha urlato improvvisamente: " Che ci trova di ridicolo?". Avrei risposto volentieri: "Niente, tranne lei" , ma per diplomazia m'è parso meglio lasciar stare. "Lei ride tutto il tempo" continuava a urlare lui. E io in tutta innocenza: "Non me ne accorgo proprio, è la mia faccia normale". E lui: "Per favore non dica scemenze, vada fffuori", con una faccia che voleva dire: tra poco mi sentirai. Credo che questo fosse il momento psicologico in cui avrei dovuto spaventarmi a morte, ma quel trucco l'ho capito troppo in fretta.
In fondo, io non ho paura. Non per una forma di temerarietà, ma perché sono cosciente del fatto che ho sempre a che fare con degli esseri umani, e che cercherò di capire ogni espressione, di chiunque sia e fin dove mi sarà possibile. E il fatto storico di quella mattina non era che un infelice ragazzo della Gestapo si mettesse a urlare contro di me, ma che francamente io non ne provassi sdegno - anzi, che mi facesse pena, tanto che avrei voluto chiedergli: hai avuto una giovinezza così triste, o sei stato tradito dalla tua ragazza? Aveva un'aria così tormentata e assillata, del resto anche molto sgradevole e molle.
Avrei voluto cominciare subito a curarlo, ben sapendo che questi ragazzi sono da compiangere fin tanto che non sono in grado di fare del male, ma che diventano pericolosissimi se sono lasciati liberi di avventarsi sull'umanità. E' solo il sistema che usa questo tipo di persone a essere criminale. E quando si parla di sterminare, allora che sia il male dell'uomo, non l'uomo stesso.
Un'altra cosa ancora dopo quella mattina: la mia consapevolezza di non essere capace di odiare gli uomini malgrado il dolore e l'ingiustizia che ci sono al mondo, la coscienza che tutti questi orrori non sono un pericolo misterioso e lontano al di fuori di noi, ma che si trovano vicinissimi e nascono dentro di noi. E perciò sono molto più famigliari e assai meno terrificanti. Quel che fa paura è il fatto che certi sistemi possono crescere al punto di superare gli uomini e da tenerli stretti in una morsa diabolica, gli autori come le vittime: così, grandi edifici e torri, costruiti dagli uomini con le loro mani, s'innalzano sopra di noi, ci dominano, e possono crollarci addosso e seppellirci.

Venerdi mattina. Una volta è un Hitler; un'altra è Ivan il Terribile, per quanto mi riguarda; in un caso è la rassegnazione, in un altro sono le guerre, o la peste e i terremoti e la carestia. Quel che conta in definitiva è come si porta, sopporta e risolve il dolore, e se si riesce a mantenere intatto un pezzetto della propria anima.

Etty Hillesum. Middelburg, 15 gennaio 1914 - Auschwitz , 30 novembre 1943.

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